Il discorso di Obama al Cairo ha riscosso il favore dell’opinione pubblica mondiale, ma il focus dell’Amministrazione rimane la politica interna. Il record negativo sull’occupazione statunitense spinge la riforma sanitaria, il punto cardine dell’agenda democratica
Il mondo è innamorato di Obama. Il primo presidente nero degli Stati Uniti, di origine africana e con un evidente carisma personale , miete consensi ed anche il mondo islamico ha accolto con grande favore il discorso del Cairo. L’enfasi delle prime reazioni si è subito affievolita, anche perché al netto della retorica nessuna apertura concreta è arrivata dal fronte più radicale della variegata galassia musulmana. Le imminenti elezioni presidenziali in Iran chiariranno se il principale avversario dell‘America - Cina e Russia a parte - punterà sul moderato riformismo dell’ex primo ministro Mousavi o premierà lo scontro promosso da Ahmadinejad. La questione nucleare, e l’appoggio dell’Iran ai movimenti terroristici dell’Islam radicale, rimarranno comunque sul tappeto anche con l’arrivo di un nuovo presidente. L’Amministrazione americana sembra però propendere più per un lungo lavoro di makeup dell’immagine degli Stati Uniti, un ruolo che riesce eccezionalmente bene ad Obama, che inizia ad assomigliare all’incarnazione del potere carismatico di weberiana memoria. La politica estera, al di là dei bagni di folla europei e dell’apprezzamento generalizzato dell’opinione pubblica mondiale, rimane però ancora in secondo piano rispetto alla difficile situazione interna, nonostante sia l’aspetto più apprezzato dagli americani secondo i sondaggi.
DISOCCUPAZIONE = IMPOPOLARITA’ - Il quadro demoscopico della presidenza Obama rimane molto confortante. Gli indici di approvazione dell’operato si sono stabilizzati su valori molto alti, intorno al 60%, così come il rapporto delle opinioni favorevoli/sfavorevoli premia in maniera netta i democratici rispetto ai repubblicani. Alcuni segnali di inquietudine però si scorgono già, e presto potrebbe arrivare il probabile calo. Storicamente si nota un legame - banalmente intuibile - tra l’andamento del tasso di disoccupazione e l’approvazione dei presidenti. La luna di miele di inizio mandato e l’indubbio fascino della personalità di Obama sono al momento i fattori decisivi, ma l’affascinante patina che ricopre l’attuale inquilino della Casa Bianca potrebbe rapidamente deteriorarsi. A maggio il tasso di disocuppazione è salito al 9.4%, il valore più negativo degli ultimi 25 anni. Nonostante i licenziamenti diminuiscano da alcuni mesi, le imprese non assumono e anche a giugno, così come nei prossimi mesi, l’indice dei senza lavoro dovrebbe essere superiore al 9%. Numeri molto pericolosi, simili a quelli che costarono una brusca sconfitta a Reagan alle mid-term del 1982, dopo che la sfavorevole situazione economica aveva trascinato verso il basso l’apprezzamento dell’ex governatore della California. John Judis, commentatore di The New Republic, ha previsto per Obama un destino molto simile a quello di Reagan, sottolineando l’inevitabile crollo del consenso nel caso di valori così negativi sull’occupazione. L’Amministrazione ne è consapevole, e la controversa semi nazionalizzazione di General Motors è il più palese tentativo di frenare l’impatto negativo della congiuntura sui posti di lavoro. Un’operazione non apprezzata però dall’opinione pubblica, perché la preferenza verso i fallimento era l’opinione maggioritaria riscontrata dalle indagini svolte sul bailout del colosso di Detroit.
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