martedì 16 dicembre 2008

Obama colpisce ancora

L'innovazione introdotta da Barack Obama nella politica americana prosegue anche ora che la Casa Bianca è stata conquistata. Sul sito web realizzato per il periodo di transizione verso la nuova Amministrazione, i membri della community possono rivolgere direttamente domande al team Obama, chiedendo quali saranno le posizioni del nuovo governo e indicando priorità di azione con un semplice click.

L'iniziativa ha avuto grande successo, un'ulteriore dimostrazione delle potenzialità delle nuove tecnologie già decisive, tra le altre cose con il fundraising via web, nelle primarie democratiche e poi nelle elezioni generali. Internet è utilizzato ancora dal Team Obama come principale strumento di democrazia diretta, attraverso il quale gli elettori possono chiedere conto ai propri rappresentanti delle loro azioni. E' questo il cuore della rivoluzione obamiana: una nuova politica che basa la sua agenda sulle richieste e i bisogni dei cittadini, che diventano protagonisti e non più  semplici interlocutori della sola campagna elettorale. E' la fine della politica Washingtoncentrica, e l'inizio di una nuova fase nella quale conta il pragmatismo, basato su valori progressisti,  responsabile e trasparente. Attraverso  l'ascolto e il dialogo con la propria base elettorale l'azione del nuovo Presidente potrà così trovare un riscontro nella società statunitense. Unico modo per confermare il consenso già ottenuto proprio grazie a questa nuova attenzione verso le richieste dal basso. 

Codice Etico per i candidati

Aderisco a questa importante iniziativa per la trasparenza in politica.

Abruzzo

Le elezioni regionali in Abruzzo sono state caratterizzate da un tasso d’astensionismo molto elevato, e il parziale carattere selettivo della smobilitazione sembra aver colpito in modo principale il partito democratico. Il PD abruzzese raggiunge un deludente 19,61%, pari a poco più di 100 mila voti. Nelle elezioni regionali svoltesi nel 1995, nel 2000 e nel 2005 i Democratici di Sinistra avevano raccolto come valore minimo 136 mila voti, 30 mila voti in più rispetto a oggi. Le forze confluite nella Margherita erano partite nel 1995 con circa 110 mila voti per poi arrivare al valore massimo di 123 mila nel 2005. Paragonare il risultato delle politiche 2008 è sempre foriero di contraddizioni quando cambia la natura del voto, è però interessante notare come il PD perda circa 170 mila consensi in termini assoluti, mentre le forze politiche alleate nella coalizione guidata da Costantini aumentino, sempre in termini assoluti, rispetto alle consultazioni nazionali. L’ex SA, ora divisa, raggiunge quota 37 mila, incrementando così di circa 10 mila voti il consenso ottenuto alle politiche. Alle regionali mancava Sinistra critica, che aveva ottenuto circa 5 mila voti. L’Italia dei Valori è la forza politica che beneficia maggiormente dalla significativa smobilitazione dell’elettorato democratico, tanto da aggiungere oltre 20 mila voti al già ottimo risultato conseguito alle politiche. Se alcuni partiti aumentano in valori assoluti i propri risultati in una competizione dove è mancato quasi il 30% dell’elettorato delle consultazioni politiche, il dato è rilevante e da sottolineare.

Il PDL è diventato il primo partito della Regione, ma il suo risultato è meno positivo di quanto sembri al primo sguardo. Nella netta sconfitta del 2005, quando il centro sinistra vinse di quasi 20 punti, Forza Italia e Alleanza Nazionale avevano raccolto 10 mila voti in più rispetto al PDL. Nel 2005 c’era stato il peggiore  risultato di FI a AN nella recente storia bipolare dell’Abruzzo. Un altro dato simile si nota osservando che nel 2005 il candidato presidente del centrodestra, uscito sconfitto, aveva superato i 310 mila voti, mentre ora Chiodi si ferma a 295 mila. Rispetto alle consultazioni politiche, il PDL perde 150 mila voti, contro i 170 mila del PD. Parte del consenso politico perso viene recuperato dalla forze civica che correva a sostegno di Chiodi, che ottiene un risultato più che buono, anche se impossibile da paragonare con le altre elezioni regionali.

A livello coalizionale si nota una contraddizione: il distacco è di oltre 6 punti tra i candidati presidenti, mentre si ferma  a poco di più di 2 punti tra i partiti che componevano i due schieramenti. Un dato in netta contraddizione con la storia recente delle consultazioni regionali, dove storicamente il centrosinistra aveva più consensi nel voto al presidente rispetto a quello raccolto dai suoi partiti. Il vantaggio delle liste di centrodestra rispetto a quelle di centrosinistra è identico al margine ottenuto alle politiche dall’alleanza PDL+MPA rispetto alla coalizione PD+IDV. Se il PD è la forza che subisce la sconfitta più netta, altrettanto deludente è il risultato dell’UDC, l’unica forza il cui consenso è coerente con le dinamiche di diversa partecipazione tra politiche e regionali. Il partito di  Casini ottiene il peggior risultato, sia in termini assoluti che percentuali, alle consultazioni amministrative dell’Abruzzo, ennesima riprova delle difficoltà incontrate dalle forze che stanno fuori dallo schema bipolare. Sono andate male anche le due forze di estrema destra, il partito di Storace, e estrema sinistra, il Partito Comunista dei Lavoratori, incapaci di intercettare il diffuso malcontento dell’elettorato abruzzese, colto  dalla lista civica nel campo del centrodestra e soprattutto da IDV nel centrosinistra.

lunedì 15 dicembre 2008

venerdì 12 dicembre 2008

1%, e la popolarità stellare di Obama

Pagina 24 dell'indagine di Pew. Solo l'1% dei liberal è insoddisfatto delle nomine di Obama. Il 68% ritiene le scelte appropriate, il 15% troppo progressiste e solo il 3% troppo conservatrici. Chissà se qualche Zuccone sb(Rocca)to prenderà nota. Il presidente eletto ha valori di popolarità stellari: secondo NBC/WSJ Obama ha un rapporto favorevole/sfavorevoli di 67 a 16, segno di una grandissima e vasta approvazione popolare. Questo, nonostante, o forse grazie(spero almeno), il fatto che il 41% degli americani lo consideri VERY LIBERAL.

Obama e un giustificabile feticcio: risposta a Costa

Francesco Costa scrive sulle false rappresentazioni delle posizioni politiche di Obama, basandosi per lo più sull’assunto di cosa sia di sinistra e cosa no in Italia, e credo pure in America. Costa è bravo e preparato, ma risente un po’ dell’eco distorta con la quale arriva il dibattito politico americano sulle nostre, desolate lande. Se la tesi di Obama incrocio tra Malcolm X e Gandhi è sicuramente ridicola, l’antitesi di una sostanziale similitudine tra Bush e il nuovo presidente è però allo stesso tempo profondamente sbagliata. 

Il punto che più mi ha colpito del post di Costa riguarda il socialismo e la differente reazione di Obama rispetto ai militanti del Pd. E’ un’affermazione tanto vera quanto debole, perché non sembra cogliere la natura e il posizionamento storico del Partito Democratico americano. Dopo la Guerra di Secessione, i Democratici hanno incubato sostanzialmente tre anime: la fazione dei Bourbon Democrats, conservatori pro business e i populisti economici, che trovarono il loro profeta in William Jennings Bryan nelle fondamentali elezioni del 1896, in lotta tra loro per il predominio del partito squassato dalla guerra civile. C’era infine il Sud segregazionista, il blocco più conservatore, a essere generosi, della politica americana che identificava nei repubblicani le truppe federali che bombardarono il Solid South durante la Guerra di Secessione. Le tre anime, seppure con pesi attuali molto differenti e lunghe  e complesse evoluzioni, rimangono ancora oggi. Il cuore e lo spirito dei Democratici è però rappresentata dal grumo populista, che nel corso del 1900 ha preso il nome di Liberal. Il populismo economico è sostanzialmente la critica alle disuguaglianze create dal libero scambio, e ha sempre proposto correzioni a queste distorsioni. Certo, Costa ha ragione quando rimarca l’ostilità democratica verso la definizione socialista, ma più di un contatto tra il posizionamento dei populisti economici e le rivendicazioni storiche della socialdemocrazia si possono trovare. Un elemento di radicale diversità con le proposte del  movimento socialista è l’assenza della statalizzazione dei mezzi di produzione, anche se essa è stata accettata in modo pragmatico nei momenti di crisi, e il New Deal ne è un esempio paradigmatico. Allo stesso modo i futuri liberal non hanno mai avuto l’obiettivo del superamento del capitalismo o la cancellazione della proprietà privata, posizionamento che forse spiega meglio di tutto le ataviche difficoltà della socialdemocrazia europea tra la piccola impresa e i segmenti agrari.  L’introduzione di freni agli scompensi generati dal libero mercato e la realizzazione di reti di sicurezza sociale hanno però sempre contraddistinto le Amministrazioni democratiche che si sono succedute nel 1900, in questo trovando una similitudine con i governi socialdemocratici  o progressisti che si sono succeduti sul nostro Continente.

 La presidenza di Woodrow Wilson cambiò profondamente la natura del capitalismo americano. Fu introdotta la legge fondamentale dell’Antitrust americano, lo Sherman Act e fu istituito il suo garante, la Federal Trade Commission, per proteggere i consumatori dall’abuso di monopolio del Big Business spalleggiato dal Gop. Fu istituita per la prima volta una tassazione federale e progressiva, e fu creato il sistema bancario federale, la  ancora attuale FED, tanto odiata dalla Scuola di Chicago, il gruppo di economisti che ispirò la Reaganomics. Il corpus legislativo del New Deal è immenso, ma il suo lascito più significativo è sicuramente la Social Security, un sistema di assistenza pubblica comparabile agli schemi pensionistici europei. Un intervento pubblico (statalismo?) avversato dai repubblicani, che hanno proposto  a più riprese, ultimo George W, la privatizzazione del sistema pensionistico. Se fallì l’introduzione di una copertura sanitaria universale voluta da Truman, le Amministrazioni Kennedy/Johnson si distinsero per Medicare e Medicaid, due programmi che hanno fornito, grazie all’intervento dello Stato, assistenza sanitaria a tutti gli over 65 e alle persone più povere. La presidenza Clinton non è invece riuscita a introdurre leggi così significative più per il clima politico ostile ( opinione pubblica e soprattutto il dominio conservatore del Congresso) che per mancanza di volontà. La riforma del sistema sanitario proposta dalla commissione guidata da Hillary Clinton si inseriva perfettamente, al di là dei suoi difetti, nella tradizione liberal delle altre Amministrazioni democratiche. Se è assente una visione ideologica dell’intervento statale, questa si ritrova in forma di contrapposizione nella tradizionale lotta al Government dei repubblicani. Dalla famiglia Taft a Barry Goldwater, passando per Hoover e arrivando a Bush e Gingrich, l’intervento pubblico è sempre stato osteggiato, seppur con molte contraddizioni nella pratica, in modo manicheo dal Gop. Nel discorso di inaugurazione della sua presidenza, Reagan proclamò il celeberrimo “Government is not a solution to our problem, government is the problem”

Una posizione di radicale avversità all’intervento pubblico che mascherava in realtà qualche demone che i poteri federali provavano a combattere. L’avversione a Washington rivendicata da Reagan affascinò, tra i molti che ne furono rapiti,  anche quell’elettorato sudista e razzista che non sopportava che i loro soldi fossero spesi, in parte, a beneficio degli afro-americani. Se Costa vuole approfondire il tema, The Chain Reaction scritto da Thomas Edsall è una lettura sicuramente migliore di The Conscience of a Liberal di Krugman, che riprende l’argomento con forse esagerata verve polemica. Reagan e i conservatori rilanciarono la dottrina degli States’ Rights, la dottrina dell’autonomia degli Stati pervertita dai democratici sudisti per giustificare il razzismo istituzionalizzato di Jim Crow. Grazie al maggior intervento dei poteri federali (statalismo?) reso possibile dalla Clausola del Commercio Intrastatale(Articolo I Sezione 8 Commi 1 e 3) e legittimato costituzionalmente  dalla giurisprudenza progressista delle Corti Supreme guidate prima da Hughes e poi da Stone e Warren, tutti e tre repubblicani, il razzismo istituzionalizzato del Sud è stato sconfitto. Dalla dottrina delle preferred freedoms a Brown v. Board of Education of Topeka, per arrivare al Civil e Rights Act della presidenza Johnson, solo con un maggior intervento dei poteri federali si è riuscito a dare soddisfazione alle richieste del movimento che lottava per i diritti civili, incarnato dal reverendo Martin Luther King. Goldwater, il padre di Reagan, contestò con radicale veemenza e non votò la legislazione che permise ai bambini neri di andare a scuola coi bianchi. Solo grazie alla crescita dei poteri di Washington sono stati implementati il  XIV e il XV emendamento alla Costituzione proposti dai repubblicani seguaci di Lincoln e appoggiati dai democratici del Nord. La storia americana dimostra come il maggior intervento pubblico abbia migliorato la condizione di vita dei cittadini, partendo dalla costruzione di strade e ferrovie, passando per una ancora insufficiente rete di protezioni sociali per arrivare alla fine della vergogna statunitense, il razzismo istituzionalizzato. Barack Obama si muove in questa direzione, e la sua proposta politica segue la grande tradizione liberal americana. Ai tempi della crisi non si riduce l’intervento dello Stato ma si migliorano le infrastrutture, come Roosevelt ha insegnato, e si migliorano le inefficienze del mercato per promuovere la tutela ambientale, oppure si investe in beni pubblici come l’istruzione e si rende universale la copertura sanitaria. Leggere quest’agenda progressista con una lente unicamente italiana è sbagliato oltre che penoso – Obama è favorevole ad un’altra schifezza degli Stati Uniti, Paese che stra-amo se ci fossero dubbi, ovvero la pena di morte – ma è altrettanto sbagliato posizionarsi su una sostanziale indifferenza tra repubblicani e democratici, o tra Clinton e Bush o tra Kennedy e Nixon. La politica americana è complessa e irriducibile ad una schematizzazione europea basata su una dialettica, non bipartitica, tra democristiani conservatori e socialdemocratici, due identità politica assenti negli Usa. Giusto per ribadire comunque il valore della diversità tra le due (major) opzioni partitiche, sentite e guardate Bill e Hillary (e Obama glià ragione), due noti moderati, andare contro le Bad Ideas di Reagan e dei repubblicani. L’America cambia, e una svolta progressista è invero più vicina di quello che tanti ci hanno raccontato in questi anni. Citando gli exit poll che qualche disinformatissimo utilizza per parlare di improbabili effetti Palin, si nota la seguente, incipiente svolta.  Nel 2000 alla domanda chiave, se lo Stato deve fare di più o fare di meno per risolvere i problemi , il 43% rispondeva con PIU' e il 53% con MENO. Nel 2004 si passava al 46% che diceva di PIU' mentre il 49% diceva MENO. Nel 2008 le parti si invertono: il 51% dell'elettorato dice che lo Stato deve avere un ruolo più attivo, il 43% sostiene il contrario. Aggiungo che il 71% dei votanti riteneva che in caso di vittoria di Obama le tasse sarebbero potute crescere. 

Ora, attaccarsi alla retorica anti Stato che secondo qualche disinformato osservatore è ontologicamente inerente allo spirito americano è davvero fuori luogo e fuori tempo massimo. E il controverso piano Paulson ne è l’esempio più lampante. Se la sinistra italiana, che certo ha una storia radicalmente diversa da quella americana, trova conforto in alcuni punti programmatici di Obama dove ritrova qualche certezza, mi pare pure giusto. Sono tempi difficili per noi, con Silvio al governo, e un Pd che più allo sbando non si può. Credere però che l’America non possa cambiare in un senso da noi auspicato è, ripeto, semplicemente sbagliato. Il Paese immobile, fermo al 1994/1996 o forse ancora prima, è solo il nostro.

PS: Ho abbandonato il metodo Rocca, ma alcune forzature, che meritavano ulteriori spiegazioni, ci sono. Vorrei chiarire subito due possibili incomprensioni. Primo, La sinistra americana ha una propria specificità irriducibile a qualsiasi paragone europeo, anche se si possono ed è utile individuare punti di contatto. Secondo, il cuore della rivoluzione conservatrice – Goldwater/Reagan - non era razzista ma la retorica anti Stato ha intercettato, più o meno volutamente a seconda dei punti di vista, quel sentimento così odioso che albergava e ancora si trova nella società americana. Negli Usa c’è meno razzismo che da noi, comunque, e l’avrei scritto anche in caso di sconfitta di Obama. Il colore della pelle non è mai stato un fattore (decisivo) in queste elezioni e in quelle degli ultimi 20 anni almeno. Infine, non sono affatto statalista, ma non sono neanche un liberoscambista dogmatico.

giovedì 11 dicembre 2008

Svolta verde

Le nomine di Obama in materia energetica sono un'ottima premessa per il Green New Deal, il mio maggior auspicio per la politica americana dei prossimi anni. 

Udc al governo

In Svizzera, non Italia. L'elezione di Ueli Maurer al Consiglio Federale riporta la Confederazione Elvetica sulla via della concordanza. La formula magica è però ormai evaporata. Maurer si occuperà del Dipartimento della Difesa. Il comportamento del suo partito, sempre più tentato dal populismo xenofobo, continua a rimanere il grande punto interrogativo della politica svizzera.

martedì 9 dicembre 2008

Elezioni statali in India

Un post interessante di Lev sulle consultazioni statali tenutesi recentemente in India. Successo per il Partito del Congresso, una buona notizia. Come scrivevo qui, la regione sarà decisiva per il conflitto con il radicalismo islamico.

Rocca disinformato Zuccon(i)e: parla Obama

Premessa metodologica: per scrivere questo post ho utilizzato, il meno possibile,  il metodo Rocca,  raccontare frottole o limare le dichiarazioni per sostenere tesi molto indifendibili, quindi un paio di punti sono un po' forzati. Ma si sa, chi scambia e-mail con lo zoppo impara a zoppicare.

Domenica mattina Barack Obama ha partecipato a Meet the Press, importante trasmissione televesiva della NBC. L'intervista ad Obama chiarisce anche molti punti del mio recente scontro con Christian Camillo (sb)Rocca. Partiamo con l'ossessione di Rocca, l'Iraq, e leggiamo cosa dice il presidente eletto, colui al quale spetta l'ultima parola, Truman docet.

I intend to end this war.  My first day in office I will bring the Joint Chiefs of Staff in and I will give them a new mission, and that is to end this war responsibly, deliberately, but decisively.
Obama, dopo aver descritto la nuova "mission" sull'Iraq, chiarisce
Well, one of my first acts as president, once I'm sworn in, will be to bring in the Joint Chiefs of Staff, to bring in my national security team, and design a plan for a responsible drawdown.  You are seeing a convergence.  When I began this campaign, there was a lot of controversy about the idea of starting to draw down troops.  Now you've seen the--this administration sign an agreement with the Iraqi government, both creating a time frame for removing U.S. troops.  And so what I want to do is tell our Joint Chiefs, let's do it as quickly as we can do to maintain stability in Iraq, maintain the safety of U.S. troops, to provide a mechanism so that Iraq can start taking more responsibility as a sovereign nation for it's own safety and security, ensuring that you don't see any resurgence of terrorism in Iraq that could threaten our interests.  But recognizing that the central front on terror, as Bob Gates said, started in Afghanistan, in the border regions between Afghanistan and Pakistan.  That's where it will end, and that has to be our priority.
Obama dunque rimarca come ormai la priorità della lotta al terrorismo non sia più il fronte iracheno, ma quello afghano. Se all'inizio della sua campagna elettorale c'erano molti dubbi tra gli osservatori e i politici sul ritiro delle truppe da Baghdad, ora questa posizione è un dato acquisito. La fine delle operazioni militari in Iraq sarà eseguita con la massima celerità possibile. In campagna elettorale il presidente eletto parlava di 16 mesi, ora non fissa termini temporali ma riafferma questa posizione. La conferma di Gates è spiegata in una semplice frase: l'attuale e futuro capo del Pentagono condivide che l'Afghanistan, e non l'Iraq, è il fronte dello scontro con il radicalismo islamico. Obama affronta anche la nomina di Shinseki con parole chiare e cristalline, a meno che uno sia un patetico Zuccone(si veda il titolo).
He(Shinseki) has agreed that he is willing to be part of this administration because both he and I share a reverence for those who serve.  I grew up in Hawaii, as he did.  My grandfather is in the Punchbowl National Cemetery.  When I reflect on the sacrifices that have been made by our veterans and I think about how so many veterans around the country are struggling, even more than those who have not served--higher unemployment rates, higher homeless rates, higher substance abuse rates, medical care that is inadequate--it breaks my heart.  And I think that General Shinseki is exactly the right person who's going to be able to make sure that we honor our troops when they come home. Alla domanda di Tom Brokaw, He's the man who lost his job in the Bush administration because he said that we would need more troops in Iraq than Secretary of Defense Rumsfeld thought that we would need at that time, Obama risponde così: He was right. Insomma, pare che la nomina del primo asiatico americano, costituency fondamentale per i recenti successi Dems, al vertice del dipartimento dei Veterans Affairs dipenda anche dalle sue critiche a Rumsfeld e a Wolfowitz, i due vertici politici del Pentagono ai tempi dell'intervento iracheno. Per qualcuno cristallino segnale di continuità tra Bush e 
il nuovo presidente. Misteri del giornalismo italiano (di infimo livello).

Passiamo ad un altro tema importante, la politica fiscale di Obama. Giusto per chiarire la polemica, in mezzo alle parole di Obama, e perdonate la blasfemia, inserisco una gemma di Zuccon(sb)Rocca. 

Il taglio delle tasse di Bush  è  per chi guadagna più di 200 mila dollari. E, appunto, Obama ha cambiato idea e non gli aumenterà le imposte

Davvero? Meglio leggere cosa dice Obama.

Well, understand what my original tax plan was.  It was a net tax cut.  Ninety-five percent of working families would get tax relief. To help pay for that, people like you and me, Tom, who make more than a quarter million dollars a year, would play--pay slightly more.  We'd essentially go back to the tax rates that existed back in the 1990s .  My economic team right now is examining do we repeal that through legislation? Do we let it lapse so that when the Bush tax cuts expire they're not renewed when it comes to wealthiest Americans?  And we don't yet know what the best approach is going to be, but the overall thrust is going to be that 95 percent of working families are going to get a tax cut, and the wealthiest Americans, who disproportionately benefited not only from tax cuts from the Bush administration but also disproportionately benefited when it comes to corporate profits and where the gains and productivity were going, they are going to give up a little bit more. y economic team's taking a look at this right now.  But, but I think the important principle--because sometimes when we start talking about taxes and I say I want a more balanced tax code, people think, well, you know, that's class warfare.  No.  It, it turns out that our economy grows best when the benefits of the economy are most widely spread. And that has been true historically.  And, you know, the real aberration has been over the last 10, 15 years in which you've seen a huge shift in terms of resources to the wealthiest and the vast majority of Americans taking home less and less.  Their incomes, their wages have flatlined at a time that costs of everything have gone up, and we've actually become a more productive society.

Dunque, il punto vero è che Obama e il suo team economico non sanno se proporre una nuova legislazione che superi la normativa, EGTTRA, introdotta da Bush nel 2001 oppure lasciare che essa esperisca tra 1 anno, vista anche, aggiungo io, l'attuale fase di recessione economica. Insomma, Rocca si conferma Zuccon(i)e e non capisce, ma ormai è abitudine. La vera novità introdotta dal nuovo presidente è il superamento della trickle down economics di marca repubblicana e si legge pure nelle sue parole una velata critica ai dorati anni del clintonismo. Qui giustifico io Bill: governare con il Congresso in mano all'opposizione, se questa è compatta, significa rinunciare ad una quota significativa della propria agenda politica. Questo per chi conosce la Costituzione americana,  ma non per ZucconRocca. Ma continuamo a leggere le parole di Obama

And part of what I'm hoping to introduce as the next president is a new ethic of responsibility where we say that, if you're laying off workers, the least you can do, when you're making $25 million a year, is give up some of your compensation and some of your bonuses.  Figure out ways in which workers maybe have to take a haircut, but they can still keep their jobs, they can still keep their health care and they can still stay in their homes.  That kind of notion of shared benefits and burdens is something that I think has been lost for too long, and it's something that I'd like to see restored.

Retorica pari a quella di Bush, non c'è che dire. Sono ironico, Rocca, che magari non capisce. 

L'intervista concessa da Obama a Meet the Press prosegue l'innovazione già proposta in campagna elettorale (primarie e poi presidenziali) e confermata dai recenti video messaggi caricati su YouTube. Un blogger italiano, Francesco Minciotti, ha colto molto bene le novità illustrate, e mi ha praticamente rubato il pezzo, perchè sul tema è difficile scrivere meglio. Insomma, par di capire che così come negli Usa, pure in Italia è meglio abbandonare certi tromboni con la testa nel passato per comprendere ciò che sta avvenendo sulle rive del Potomac.

Ps: Si conclude così l'inutile serie di post dedicati al borioso, arrogante e molto impreparato Zuccon(sb)Rocca. Quest'ultimo verte in realtà sulle parole di Obama, ma chiudo con l'ultima gemma del nostro frequentatore di rosticcerie di New York(beato lui, en passant). 

Gli anti guerra, o i ritiristi, tra Shinseki e Rumsfeld stavano con Rumsfeld, non con Shinseki, anche se gli è difficile ammetterlo. E alla fine, con il surge bushiano, osteggiato dalla sinistra liberal, l’idea di Shinseki è stata vendicata. Aveva ragione lui, bisognava andare con più truppe

Di fronte ad una contorsione logica che richiama alla mente solo le configurazioni laoocontiche della Gialappa's Band le mie parole si esauriscono. Farei un applauso, ma il pezzo non è da considerarsi comico. Quindi è solo spazzatura, se lo scopo del giornalismo è l'informazione del lettore. Rimane che il siculoniuorchese del suddetto rappresenta una nuova vetta dell'imbarbarimento della lingua italiana  - l'errore di grammatica è voluto - e merita la nostra compassione. L'unica fonte che ha espresso una tesi simile a quella di Rocca è Indymedia.Se volete capire come la blogosfera progressista abbia accolto Shinseki e le motivazioni del proprio appoggio provate qui. Si tratta di un pezzo di Chris Bowers, uno dei migliori blogger della netroots. Cito sempre con lui con Rocca, perchè non vorrei affaticarlo di troppi compiti visti i suoi enormi debiti (in)formativi.

lunedì 8 dicembre 2008

Rocca come Travaglio 3

christian rocca

 me
mostra dettagli 21.46 (9 minuti fa)
Rispondi
Lei è pasticcione e disinformato e, vedo, non cita più shinseki. Preferisce passare ad altro, in modo confuso. 
Quanto a Chris Bowers lei è ancora una volta disinformato, visto che è stato il primo che ho citato nei miei articoli (altro che ignorato).
Il taglio delle tasse di Bush, inoltre, non è per i megamiliardari come spara lei, ma per chi guadagna più di 200 mila dollari. E, appunto, Obama ha cambiato idea e non gli aumenterà le imposte. Non mi soffermo sull'istruzione, perché lei evidentemente non sa che il no child left behind di bush è stato presentato con ted kennedy. Infine, ma solo perché mi sono già annoiato, il brookings institute" non esiste. Esiste la brookings institution, centro studi centrista piú vicino a hillary che a obama. Dell'obama progressista delle primarie, ovvio. 

Ennesima risposta confusionara e fondamentalmente sbagliata di Christian sempre più (sb)Rocca. Su Shinseki non c'è niente da dire, nel senso che la stucchevole serie di That's right mostra quanto Camillo ignori ciò che sta accadendo ora. Su Chris Bowers ammetto di non conoscere un'eventuale citazione di un articolo di Rocca, che però evidentemente non ha compreso ciò che dice il fondatore di OpenLeft. Sul taglio delle tasse riconosco un pòdi demagogia, ma il senso della mia riflessione era sull'inversione del paradigma della tricke down economics. E appunto, Rocca dimostra come non abbia capito il nuovo piano economico delineato da Obama. Sull'istruzione ho citato, via Ambinder, l'episodio che mi viene rimproverato di non conoscere. Ora alcuni errori di comprensione di Camillo mi diventano più chiari. Sulla brookings ho scritto institute invece che institution. Vero, però ho letto i loro studi, mentre qualcuno che parlava di elezioni equlibrate a settembre e di effetto Palin sicuramente no. Se no certe boiate non escono dalla tastiera. A meno che si penda dalla bocca di William Kristol, oppure altri fenomeni del giro che tanto piace al Foglio.

Ps: E' vero, gli articoli di Rocca li salto da quando ho letto una ridicola analisi sulle midterm del 2006. Se non ricordo male, era riuscito pure a scrivere che le elezioni di metà mandato, che rinnovano Camera e 1/3 del Senato, erano sostanzialmente inutili rispetto alle presidenziali. Insomma, mi si rimprovera un errore di battitura, mentre il nostro non conosce la Costituzione americana.

Rocca come Travaglio 2



christian rocca

 me

Shinseki voleva andare in iraq con 300 mila uomini, non era contrario alla guerra. MoveOn era contraria alla guerra. Il resto è chiacchiera

Christian Camillo (sb)Rocca risponde così al mio post di ieri, e lo ringrazio della cortesia.  Sostanzialmente mi dà ragione, e basta vedere il post di oggi, dove mi dà del disinformato arrampicandosi sugli specchi. Ma va bene così, perchè la risposta da lui inviata è il segno evidente della sua impreparazione a capire i nuovi sviluppi della politica americana, mutata in modo radicale dopo le midterm del 2006( che proseguivano una tendenza già emersa invero nel 2000 e nel 2004). Mi viene in mente Michael Barone che parlava, ad un mese  o poco più dalle presidenziali di quest'anno, di elezioni equilibrate perchè il fallimento dell'Iraq era stato rimpiazzato dal surge realizzato da Petraeus. Un Iraqcentrismo che ha non ha permesso di valutare tendenze delle quali, tanto per dire e per aiutare (sb)Rocca e  i suoi fratelli, il Brookings Institute parla da ormai 6 anni.

La serie proposta sul blog di Camillo è un'eco ridicola, se l'intento è quello informativo,dell'interessante dibattito della blogosfera progressista iniziato da Chris Bowers, non casualmente ignorato da Rocca, che reputa più valida la bollitissima Naomi Klein. Inoltre, mentre Rocca si concentra sull'inutile Iraq, non rileva come Obama abbia lanciato un progetto di rilancio economico basato su un ruolo più attivo dello Stato in temi molti sensibili per i progressisti Usa, istruzione e tutela ambientale. Si passa dal mega taglio alle tasse per i miliardari proposti da Bush ad una politica economica basata su rilancio dell'istruzione pubblica, digitalizzazione di massa e efficienza energetica. 

Come scriveva Ambinder(leggete il suo blog) un paio di settimane fa

some Democrats are wary of Obama's professed bipartisanship. But there's been no evidence that his views are torn between the left and the right; he is clearly putting forth a progressive, or liberal, agenda. So, rather than a Democrat bringing in a bunch of Republicans to govern by splitting the baby between the two sides, it appears that we have a case of a Democrat bringing in Republicans to put a bipartisan face on progressive policy, shades of, say, George Bush bringing in Ted Kennedy to put a bipartisan face on "compassionate conservatism."

Ecco il punto: Obama è un trasformatore nella forma di Reagan, e vuole creare un'agenda progressista che soppianti il conservatorismo introdotto come mainstream nella politica americana ormai 28 anni fa. Al momento la parziale delusione dei liberal si concentra su due punti: il primo è che questa trasformazione dovrebbe essere portata avanti da personale politico che su global warming o deregulation finanziaria si era opposta in tempi non sospetti alle pratiche Bushiane( e per certi aspetti anche clintoniane), il cuore della riflessione di Chris Bowers.  E' vero che Obama ha scelto persone di orientamento moderato, però ha chiarito, citando Truman, come a lui spetti la visione e la responsabilità ultima.  Cercare di definire o prevedere una possibile politica prima che un solo progetto di legge sia presentato al Congresso (in mano nettamente ai Democratici, en passant) e desumendo questo dalle nomine è frutto solo di impreparazione. L'esempio di W è paradigmatico: la nomina del suo primo  segretario di Stato, Colin Powell, avrebbe lasciato presuppore una politica estera  se non opposta almeno molto diversa rispetto a quella poi implentata.  E arriviamo alla fine all'Iraq e alla visione di Obama, altro elemento di parziale delusione dei liberal: sul conflitto del 2003 e operazioni militari successive io l'ho sempre pensata come Bill Clinton, cioè che il buon Barack usasse una favoletta buona per vincere le primarie democratiche. Al momento, a quello che si può percepire o capire dalla campagna elettorale, il nuovo presidente americano inserirà la lotta al global warming nella sua agenda di politica estera, abbandonerà l'unilateralismo come modus operandi e sposterà il conflitto al terrorismo internazionale su un piano meno legato al ruolo di più o meno presunti failed o rogue States. Questa sarebbe giù una svolta significativa rispetto all'Amministrazione Bush, se poi la visione citata prima avrà l'ispirazione del discorso di Berlin, tenuto non ai tempi della sfida a Hillary ma nella fase decisiva dello scontro coi repubblicani, allora inizierò, se avrò tempo e voglia, una lunga seria di That's wrong che qualcuno si merita. 

domenica 7 dicembre 2008

Federalismo

Marcello ha perfettamente ragione. Sicuramente meglio dell'interessante, ma per più di un verso discutibile, analisi di Cacciari.

Rocca come Travaglio

Il corrispondente Usa del Foglio, Christian Rocca, applica il metodo Travaglio(da lui tanto criticato) del taglia e cuci per sostenere l'insostenibile tesi dell'uguguaglianza tra Bush e Obama. Prima, in That’s right/7, riporta la frase di un esponente di Move On censurando il dubitativo "we'll see", premessa indispensabile per comprendere l'affermazione di Eli Pariser. La citazione è tratta da un lancio di Associated Press, non esattemente la fonte migliore sugli Usa. Poi arriva il capolavoro: In That’s right/8 Rocca parla della nomina di Eric Shinseki, generale scontratosi visceralmente con Rumsfeld per le sue critiche alla gestione delle operazioni belliche in Iraq, dimenticando però di citare questo fondamentale dettaglio. Tanto per informare Rocca, MyDD, punto di riferimento della blogosfera progressista, ha apprezzato la scelta di Shinseki, mentre Politico ricordo come il generale di origine asiatica fosse entrato nel cuore del movimento progressive per la sua contrapposizione al Pentagono di marca Rumsfeld/Wolfowitz.

Insomma, metodo Travaglio a pieno regime, comprensibile per chi, nell'estate di 2 anni fa, fece un magistrale pezzo sul prossimo, inevitabile 44esimo presidente degli Usa: John McCain.

giovedì 4 dicembre 2008

Il voto degli immigrati

Il portale degli immigrati in Italia ha condotto un'indagine online sul voto dei cittadini di origine straniera che risiedono nel nostro Paese. Bassa, se non nulla affidabilità scientifica, ma un'interessante indicazione verso uno dei temi decisivi per il futuro dell'Italia, la piena partecipazione alla vita politica e sociale di tutti i suoi abitanti. Qui sotto i risultati

Se oggi potesse andare alle urne, il 60,3 % degli immigrati voterebbe per un partito del centro sinistra, il 27,3 % sceglierebbe il centrodestra. Il 12,5 %, al di là del colore politico, darebbe il voto a un candidato della sua comunità

Il netto vantaggio del centrosinistra non stupisce, e ripensando alle minoranze etniche statunitensi, coltivate per anni dall'opposizione dai Democratici Usa e ora decisive per il trionfo di Obama, viene in mente qualche ipotesi di lavoro più produttiva delle divisioni tra D'a%''!|\& e Ve*/!$%"£|( sono per me parolacce ormai da censurare) anche per il PD nostrano.

No al taglio dei fondi per l'efficienza energetica

Aderisco alla campagna lanciata qui. Maggiori info chez Marcello.

mercoledì 3 dicembre 2008

Sconfitta in Georgia, 60 addio

Netta sconfitta del candidato democratico Jim Martin nell'elezione per il seggio senatoriale della Georgia. Il repubblicano Chambliss, che quattro settimane fa aveva mancato di soli 2 decimi il 50% e per questo ha dovuto affrontare il secondo turno, ha staccato nettamente il suo avversario. Chambliss ha battuto Martin 57 a 43, superando di vari punti il vantaggio pronosticato dai sondaggisti. La mancanza di exit poll limita l'analisi, ma la comparazione con il risultato del 4 novembre mostra come la partecipazione nelle contee afro-americane sia stata abbastanza bassa. Nelle due contee più popolose e democratiche dell'area metropolitana di Atlanta, Martin ha perso circa 200 mila voti mentre Chambliss solo 70 mila. Il candidato democratico aveva sperato in una visita di Obama, che però ha preferito limitarsi ad uno spot radiofonico e alla dislocazione di parte del suo staff elettorale.

La sconfitta democratica segna l'addio all'agognata super maggioranza al Senato, capace di superare l'ostruzionismo della minoranza. La vittoria dei repubblicani era pronosticata ma si è rivelata oltremodo netta, e questo mostra come il Gop, seppur ammaccato, sia ancora il partito chiaramente maggioritario nell'elettorato bianco. Senza una significativa mobilitazione delle minoranze etniche, il segmento di voto più ostile ai repubblicani e all'Amministrazione Bush negli ultimi 4 anni, i Democratici rishiano di perdere. Le midterm del 2010 si giocheranno prevalentemente su questo

martedì 2 dicembre 2008

Il maggior rimpianto

L'Amministrazione Bush ammette il fallimento sulle armi di distruzioni di massa teoricamente in possesso di Saddam Hussein e causa prima del conflitto iracheno. Ora che pure Bush ne parla apertamente, rimarrà da convincere Camillo

Dall'intervista di Bush all'ABC

GIBSON: You've always said there's no do-overs as President. If you had one?

BUSH: I don't know -- the biggest regret of all the presidency has to have been the intelligence failure in Iraq. A lot of people put their reputations on the line and said the weapons of mass destruction is a reason to remove Saddam Hussein.And, you know, that's not a do-over, but I wish the intelligence had been different, I guess.


lunedì 1 dicembre 2008

La politica di Obama dopo gli attentati di Mumbay

 I tragici attentati di Mumbay indicano lo spostamento del confronto tra terrorismo e mondo occidentale. Il presidente eletto Barack Obama potrà così testare subito il cambio di strategia nella lotta al radicalismo islamico che aveva delineato nel corso della sua ascesa alla Casa Bianca. Continua qui.