lunedì 23 febbraio 2009

Assemblea Nazionale

Sabato sono andato all'Assemblea Nazionale del PD. Appena partito in macchina verso Malpensa, un ragazzo, evidentemente ubriacatosi ad un Carnevale ticinese al quale io sarei voluto andare, ha sfasciato la sua macchina davanti ai miei occhi. A parte l'ingente danno economico, non si è fatto niente. L'ho preso come un presagio.

Francesco Costa ha raccontato bene  ciò che si è svolto all'Assemblea. L'evidente fretta con la quale l'organismo teoricamente  più importante del PD è stato convocato non ha permesso a molte persone di partecipare. I presenti erano numerosi, più di mille delegati, ma erano meno dellà meta degli aventi diritto. L'intervento di apertura della Finocchiaro, presidente dell'Assemblea, e l'appoggio alla soluzione Franceschini espresso da Rosy Bindi hanno reso immediatemente evidente ciò che sarebbe successo. L'elezione del nuovo segretario è stata così approvata a larghissima maggioranza, e la seguente votazione si è rivelata un plebiscito per Dario Franceschini. 

Ho votato con molti dubbi a favore dell'elezione immediata di un nuovo segretario, quindi bocciando il ricorso immediato alle primarie. Credo nel Partito Democratico, ma la via tracciata in questi due anni è stata sbagliata. Il partito del leader funziona solo con Berlusconi, e l'inversione del processo di legittimazione - dall'alto verso il basso invece che il contrario, come anche il tanto citato a sproposito Obama insegna - ha prodotto non pochi guasti nella dialettica democratica del partito, così come nel processo di selezione della classe dirigente. Il PD è un unicum per il modello organizzativo scelto: nè semplice partito degli eletti, selezionati con la primarie, come avviene in America, nè partito di militanti e dirigenti sul modello europeo. Si è arrivati al paradosso, eufemismo,  di primarie per selezionare il coordinamento dei circoli, ma non per scegliere i parlamentari. Scelti a Roma tra i rappresentanti delle correnti principali. Una revisione dello Statuto prima del congresso autunnale sarebbe auspicabile. 
In questo senso, l'apparato che ancora sopravvive avrebbe utilizzato lo strumento delle primarie senza preventiva discussione dei nodi politici, solo per risolvere con l'accetta i non pochi problemi emersi nella fusione delle due classi dirigenti di Ds e Margherita, in una partita solo nominalistica e non programmatica. Tutto questo a 3 mesi dalle elezioni europee, e da un'impegnativa tornata amministrativa. E con lo spettro della scissione ben presente, come certe inutilmente polemiche dichiarazioni lasciavano presagire

Il b/prodino Franceschini non è forse la soluzione migliore, ma è sicuramente la più ragionevole in questa fase. Dove i problemi evidenti di consenso del PD sono oscurati dai rischi per la sua sopravvivenza.

La cosa che più mi spaventa ancora è l'assoluta mancanza di comprensione del vero problema del centrosinistra, ovvero l'allocazione del suo consenso. Da 15 anni la classe dirigente dei Ds e della Margherita, erede di due culture politiche bocciate dall'elettorato italiano, il centro berlingueriano del Pci e la sinistra democristiana, ha scelto consapevolmente di rinunciare alla lotta politica nell'area più ricca e popolosa del Paese, il Nord. Grazie al maggioritario, alla relativa staticità dell'elettorato italiano nelle consultazioni politiche, e la sua selettiva mobilitazione nelle tornate amministrative,  la forza dell'apparato comunista nell'Italia centrale, e gli antichi legami, diciamo così, con lo Stato assistenziale di democrastiana memoria al Sud hanno permesso la sopravvivenza del centrosinistra di D'Alema, Marini, Veltroni, Rutelli, Fassino e via discorrendo. L'unico elemento che ha tenuto in piedi elettoralmente queste forze  è stato il potente spirito antiberlusconiano che ha permesso di mobilitare persone e ceti sempre più slegati dalla  proposta politica. Ora, anche questo pozzo di consenso sembra essersi inaridito, quantomeno per il PD. Rispetto a tutto questo, nuove primarie avrebbero semplicemente impedito un rinnovamento legato a diverse logiche politiche/territoriali rispetto al partito, che inizia a Piacenza e finisce sulla Salerno-Reggio Calabria, di questi ultimi 15 anni. Siamo ancora fermi al 1994/1996, e nessuno se ne rende conto. Con l'arma elettorale più significativa, la contrapposizione frontale a Berlusconi, consegnata colpevolmente a Di Pietro grazie alla nostra scarsa attenzione su temi centrali come etica della politica e giustizia. Non ho mai sentito dire che il nostro smottamento elettorale è iniziato da quando l'indulto è stato approvato.

Il centrosinistra del primo decennio berlusconiano è stato pensionato dal ritorno del proporzionale, che ha mostrato come la forza singola dei candidati, che ci sovrarappresentava, era in realtà una coperta troppo corta per coprire le debolezze strutturali dei partiti. Tutti impegnati a rincorrere il passato, si veda i rifondatori del comunismo, o a inseguire improbabili chimere tra un impossibile mantenimento della tradizione e l'aggiornamento, perlopiù in funzione di pura contrapposizione, alla contemporaneità berlusconiana, fino ad arrivare ad incredibili spinte neoidentitarie su schemi politici di un ventennio fa. Dalla riforma Calderoli, che ha riportato al centro i partiti e la loro forza ideologica nel rappresentare la società attuale, il centrosinistra ha praticamente perso ogni elezione. Non mi pare di aver sentito nessuna riflessione in merito.

I miei amici dei Mille hanno provato a sovvertire il risultato dell'Assemblea, senza riuscirci. Non ho aderito alla loro iniziativa perché io vengo da quel profondo Nord che il Pd, come il centrosinistra prima, ha dimenticato. Senza una riflessione seria sui nostri fallimenti con questo territorio, ogni discorso di rilancio dei Democratici italiani sarà inutile. La loro proposta di innovazione generazionale è sensata, ma secondo me insufficiente per rilanciare il PD. Senza una profonda revisione dei paradigmi culturali che hanno dominato il centrosinistra in questi anni la notte berlusconiana sarà ancora lunga. 

Per questo, è più adatto un congresso che rinnovi idee e persone, e per questo ho votato Dario Franceschini e non Dario Parisi, come pure ero tentato. Spero di non essermi sbagliato.




3 commenti:

Francesco ha detto...

Ciao Andrea
credo che la tua sincerità in questa analisi esca tutta.
Condivido il fatto che abbiamo una classe dirigente che si è dimenticata del nostro/i territori.
In questi mesi ho potuto vedere nel bene e nel male, come molte realtà locali si siano date veramente da fare per combattere quello staticismo dell'elettorato italiano che tu descrivi. Ahimè però non ho visto l'attenzione dei nostri big rispetto ai nostri territori
Rimango sempre dell'idea che le elezioni politiche non si vincono dove gia siamo forti, ma si vincono cambiando i risultati dove siamo deboli. Ed è per questo che mi piacerebbe un idea di partito veramente federalista. L'idea che si ponga l'attenzione verso i territori come i nostri, dove l'attuale governo ha portato solamente false aspettative.
Ma credo inoltre che non dobbiamo basarci, nella nostra azione politica, nel "denunciare" le misfatte. Dobbiamo proporre alternative credibili.
Ciao
Francesco

DavideB ha detto...

Capisco la tua posizione e trovo degli spunti molto interessanti, a cui non avevo mai pensato. Il tuo è un punto di vista poco condiviso dal "PD popolo di internet" che ora i dirigenti si impegnano a denigrare senza cognizione di causa.
Non trovi che la reazione del corpo dirigente (anche chi fa finta di non farne parte) sia stata di forte ottusità: un'altra volta si è preferito tenersi uniti perchè incapaci di affrontare una discussione vera senza minacce incrociate di scissioni e nonostante il partito stia perdendo giorno dopo giorno credibilità e consensi.
In cuor mio temo che il nucleo dirigente non percorrerà le strade che tu descrivi prima del congresso, le uniche che possono legittimare la scelta di continuare con Franceschini. Non sono più così certo che la salute e crescita del PD siano da questi considerati prioritari rispetto alla loro personale sopravvivenza politica.

Alessandro Tapparini ha detto...

Buone riflessioni.
Se fossi in qualche modo partecipe (e non lo sono, ma sarebbe sciocco disinteressarmi solo per questo), mi permetterei di suggerire anche una riflessione sul mancato chiarimento del rapporto tra le primarie e le "tessere". Il rapporto fra le correnti del partito si deve regolare o in base alle prime, o in base alle seconde, oppure, al limite, con un sistema ibrido che però va ben discusso, ben meditato, e soprattutto ben chiarito. Sennò è un disastro.