martedì 13 ottobre 2009

Le molte differenze tra le primarie Usa e quelle italiane

Tra 10 giorni il più grande partito d’opposizione del nostro Paese sceglierà il suo leader. Dopo la consultazione degli iscritti, una sorta di primo turno, il ballottaggio prevede che tutti i simpatizzanti e gli elettori del PD votino nei gazebo e nelle sezioni, allestiti dai militanti del partito, per decidere il terzo segretario in soli 2 anni. Questa fase è chiamata “primarie”, ma il nome dato non ha nulla a che fare con le elezioni che si definiscono come tali, che si svolgono solo negli Stati Uniti. Il nome “primary election” significa, anche senza essere cultori dell’ermeneutica o di Shakespeare, consultazioni che vengono prima rispetto alle secondarie, ovvero le elezioni generali , che col gergo veltroniano potremmo chiamare le “verarie”. Le primarie sono nate negli Stati Uniti circa un secolo fa, per democratizzare il processo di selezione dei candidati alla Camera dei Rappresentanti o alle assemblee legislative intermedie.

Fu un’importante riforma del movimento progressista, che mirava a sottrarre ai boss dei due partiti il controllo delle candidature, che spesso significava automaticamente elezione certa in una parte cospicua degli Stati Uniti . Una simile richiesta portò all’introduzione del XVII Emendamento, che permise ai cittadini di votare direttamente i Senatori, che fino ad allora erano nominati dalle assemblee legislative degli Stati. Ai partiti fu sottratta la fase organizzativa della consultazione, e la competenza fu assunta dai poteri pubblici locali. Questa è una prima, sostanziale differenza con le consultazioni organizzate dal PD. Il ruolo dei partiti nelle primarie americane è minimo, e consiste sostanzialmente nell’eventuale appoggio dei candidati, oppure a riconoscere il valore o meno di queste consultazioni. Un’altra sostanziale differenza è che le primarie sono indette per selezionare la quasi totalità dei candidati alle cariche monocratiche. Al seggio gli elettori americani possono determinare chi sarà il candidato del loro partito di riferimento per la carica di presidente, senatore, deputato, governatore, e via dicendo fino ai membri dei consigli scolastici, ovvero tutte quelle cariche per i quali è prevista un’elezione diretta, basata sull’uninominale maggioritario, nei mesi successivi. L’intero sistema istituzionale statunitense è modellato su questo principio: si vota la singola persona, collegata ad uno dei due partiti che esistono da ormai 150 anni.

Un’altra enorme divergenza legata al diverso quadro istituzionale è che le primarie sono indette nei singoli Stati in maniera autonoma, con molti mesi tra le une e le altre, pur essendo novembre il mese delle votazioni negli Usa. Il maggioritario uninominale e il federalismo sono dunque due pilastri indispensabili di queste consultazioni, elementi che mancano in Italia e determinano quell’incongruenza palesata più volte dal PD italiano. Negli Stati Uniti sarebbe totalmente inconcepibile poter votare per il candidato presidente ma non per il deputato o per il sindaco, cosa regolarmente fatta in Italia per le politiche 2008 e per le comunali di Roma, tanto per citare i casi più noti. Al contrario, la tradizione federalista del Paese ha sempre dato più rilevanza alle consultazioni territoriali, e l’ultima carica istituzionale per la quale sono state previste le primarie è proprio la Presidenza, in totale controtendenza rispetto a quanto avvenuto in Italia.

Fino agli anni ‘60 e ’70 la maggior parte dei delegati per la Convention nazionale erano decise dai partiti statali in modo autonomo, tanto che le primarie per gli altri incarichi determinavano le candidature,mentre il voto sul presidente era ritenuto inutile, un semplice concorso di bellezza. L’aspetto ancora più interessante deriva da un fatto spesso ignorato dai più, ovvero che ancor oggi una minoranza di Stati votano via Congresso – i citati ma mai compresi caucus – e non tramite primarie durante la fase di nomination. Lo stesso Barack Obama ha perso le primarie propriamente dette, ma è arrivato alla candidatura grazie al trionfo nei caucus, colpevolmente ignorati dalla campagna della Clinton. Una vittoria di apparato mai compresa dai suoi fan italiani. Alcuni critici hanno sostenuto che in America possono votare alle primarie solo gli elettori registrati ai partiti, ma questo è vero solo in parte, e denota la classica incomprensione del modello partito americano, che è una coalizione di 50 forze politiche, una per singola Stato, autonome e con proprie regole di funzionamento. 21 Stati non prevedono l’indicazione al partito per l’enrollment nelle liste elettorali, e tra i 29 che hanno la registrazione partitica ci sono primarie aperte o semi aperte che permettono anche agli elettori indipendenti o repubblicani di votare per i candidati democratici, o viceversa.

Ma il punto più incomprensibile per un cittadino statunitense è l’elezione del segretario, carica presente nei partiti americani ma di norma selezionata tramite i congressi, un incarico che raramente si traduce in una candidatura istituzionale successiva mentre nei Democratici italiani assume un ruolo (semi)padronale sul partito. Le uniche primarie a livello nazionale concepibili, molto vagamente, come tali furono quelle organizzate dall’Unione nell’autunno del 2005, benché il vincitore, Romano Prodi, fosse scontato. Una caratteristica che in realtà si ritrova anche negli Usa, perché quando gli incumbent – dal presidente in giù – corrono alle primarie per ottenere un mandato successivo spesso non ci sono candidati credibili a loro opposti. Le primarie del PD, che selezionano il proprio leader, sono un’altra cosa, e assomigliano ad un plebiscito – tutto il potere ad un solo uomo – che cristallizza la predominanza del potere centrale, che da 15 anni (almeno) ha distrutto la politica e la sua rappresentanza nei livelli territoriali.

Rappresentano l’inversione del processo di legittimazione che dalla base arrivava al vertice, tipica dei Congressi e anche del modello americano di selezione della nomination presidenziale. Assomiglia al vecchio popolo dei fax riesumato al gazebo, con il gruppo L’Espresso al posto delle televisioni di Berlusconi. Un esperimento che solo quando si è avvicinato al modello originario, come per le primarie di una carica elettiva e locale come quella del sindaco di Firenze, ha avuto successo. E se mai vi chiedete ancora a cosa servono le primarie presidenziali negli Stati Uniti, guardate che ruolo hanno avuto McCain, Kerry o Al Gore dopo averle vinte.

Per Giornalettismo

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